PREMIO VIAREGGIO: LA MOTIVAZIONE redatta da Francesca Dini
Nel suo romanzo Nicola Gardini dipinge un suggestivo ritratto della società italiana che comincia a smarrirsi alla vigilia di un decennio oscuro, gli anni Settanta, percorsi dalla violenza del terrorismo e dalla crisi economica e dunque destinati a lasciare un segno indelebile nella nostra storia come nella sensibilità dell’adolescente protagonista del romanzo, Chino. Il punto di vista molteplice e variegato scelto dall’autore è quello di un condominio, collocato a Milano, in via Icaro. Chino è il figlio della portinaia e percepisce la sua inferiorità sociale all’interno del microcosmo condominiale respirando però i sogni della mamma, che è certa di non voler essere portinaia per tutta la vita. La nuova inquilina Amelia Lynd, descritta da Chino come “un uccello nobile e variopinto” che arreca scompiglio nel pollaio-condominio governato dalle altre “galline” diventa lo strumento attraverso cui il ragazzo si avvicina alla cultura, alla meravigliosa arte delle parole e alla loro ricongiunzione col proprio significato.
Il libro è una metafora del volo, del desiderio di elevazione che non riesce, come nel mito di Icaro. Non riesce alle galline che non possono volare (le persone che abitano gli appartamenti di via Icaro, con le loro storie di ipocrisia, di egoismo e le ristrettezze di vedute); riuscirà forse a Chino che attraverso l’insegnamento di Amelia Lynd scopre l’amore e il potere seducente delle parole, che riportano in vita significati perduti e gli ideali.
Il romanzo di Gardini, mescolando gli ingredienti della commedia e della tragedia, è un invito per l’Italia di oggi a conoscere la propria lingua, a parlare volendo dire qualcosa, a ritrovare la corrispondenza tra le parole e il loro significato, corrispondenza messa in crisi dalla cultura di massa. Una esortazione a ricercare con forza il nucleo di verità che, come insegna Leopardi, è nelle parole; un invito a credere che la cultura ci possa ancora salvare.
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LA RECENSIONE DI GABRIELLA D’INA:
Già noto per opere di narrativa e di saggistica, Nicola Gardini si mise in luce, nel 2009, con I baroni, un libro-denuncia contro il potere clientelare delle Università italiane. Oggi Gardini, uno dei tanti, troppi cervelli in fuga, insegna Letteratura italiana all’Università di Oxford. In Le parole perdute di Amelia Lynd, fresco del Premio letterario Viareggio-Rèpaci, Gardini congiunge l’amore per il valore salvifico e formativo della parola, con l’interesse profondo per la storia italiana degli ultimi decenni. Ambientato in un condominio milanese, in via Icaro, nome del tutto emblematico, il romanzo è prima di tutto l’analisi di uno spazio chiuso, un microcosmo che, ha detto l’autore in un’intervista, corrisponde al suo interesse, anche inconscio, per contesti molto circoscritti, così come accadeva in Lo sconosciuto, il suo romanzo sull’Alzheimer del padre. Il fulcro di Le parole perdute di Amelia Lynd è la portineria del condominio, dove l’Elvira, il marito e il figlio tredicenne Chino vivono destreggiandosi, l’Elvira in particolare, tra le assurdità, le beghe, i normali orrori, le prepotenze e le miserie della vita condominiale.
Il padre lavora in fabbrica e porta ancora alti, in modo assolutamente ideologico, i valori della lotta di classe; la madre, l’Elvira, la portinaia, o meglio la custode, come vorrebbe essere chiamata, aspira a cambiare la propria condizione sociale, si ammazza di lavori extra, col sogno di accumulare abbastanza denaro per acquistare un bilocale, all’interno del palazzo, quando e se, come si sussurra, gli appartamenti fossero messi in vendita. Chino, tredicenne, naviga in questi modesti orizzonti, con qualche compagno, la Rita, Pietro, Matteo, protagonisti delle prime scomposte avventure sessuali. Questo caos ordinato viene un giorno sconvolto dall’arrivo di Amelia Lynd, un’anziana signora di madre lingua inglese, dall’incedere altero, non una vecchia gallina come l’Elvira aveva temuto, piuttosto un uccello nobile e variopinto, che le ali le aveva per volare. Amelia Lynd, che subito viene messa al bando dagli altri inquilini, sconvolge anche la vita di Chino, che prende l’abitudine di frequentarla, all’inizio per aiutarla nel trasloco, poi per gli appuntamenti quotidiani, dei veri tè all’inglese, che si trasformeranno ben presto in una sorta di lezioni di lingua e non solo. Amelia, col suo pensiero libero e un po’ anarchico, riverserà nella mente prensile e risvegliata di Chino, che lei ribattezza col suo vero nome, Luca, figlio della fortuna, il piacere di pensare e capire, il rispetto per la scrittura e la passione per le parole. Luca si butterà a capofitto nello studio dei vocaboli inglesi, mandando a memoria ogni giorno decine e decine di espressioni. La presenza di Amelia introduce anche un diverso registro narrativo: i suoi discorsi un po’ farneticanti, rapidi, veloci si oppongono alla scrittura più cadenzata e descrittiva della quotidianità, quasi a indicare una via d’uscita, una sorta di salvezza, un argine che le parole studiate e amate possono costituire rispetto al mondo e alle sue miserie morali e politiche. È forte la presenza dell’incombente decennio italiano, il grande buio degli anni ’70, individuato anche con le frequenti citazioni dei film dell’epoca, senza, tuttavia che il tono divenga didascalico, poiché i contenuti di questo tipo sono spesso affidati ai dialoghi. Le parole perdute è certamente un romanzo di formazione, una sorta di Educazione sentimentale: vedremo Luca scegliere, aiutato da Amelia, il liceo classico, di fronte ai genitori sbalorditi e inconsapevoli, ma soprattutto vedremo in un drammatico finale come il testimone passi dalle mani di Amelia alle mani di Luca. Un romanzo scritto con vigore e ironia, con pagine divertenti, vivaci, ricco, tuttavia, di riflessioni sulla religione, sull’omosessualità (spunterà fuori anche un figlio omosessuale), ma anche diciamo “letterarie”. Amelia racconterà a Luca come gli scrittori si dividano in scrittori di significati, come Pasolini, Gadda, Landolfi, e scrittori di parole, come Virginia Woolf, Stendhal, T. E. Lawrence, gli uni più scienziati, gli altri più liberi di creare, che pretendono un ascoltatore, che si aspettano risposte… Chissà che non siano queste proprio le idee oxfordiane del prof. Gardini, che ha proposto, anche nel suo Per una biblioteca indispensabile, interpretazioni anticonvenzionali dei classici, al di là dalle etichette e dalle formule accademiche.
Marina, lettrice:
“La vicenda, la trama, i personaggi (con la loro capacità ‘autonoma’ di pensiero) sono ‘di più’, molto ‘di più’ delle intenzioni espresse nel concepirli, nel descriverli, nel far vivere o morire… Il tuo libro è diventato reale e, quindi, va ben oltre le letture tematiche, i rimandi all’attualità, la critica sociale e politica, la concezione di cultura, la negazione del divino… E’ una storia che vive (come dire) di vita propria. E’ una storia che ha preso vita. E che afferma il suo valore, prentende un suo significato. Oltre chi lo ha pensato. E’ una creazione da guardare con meraviglia, davanti alla quale sorprendersi…”