Lo sconosciuto

All’inizio di giugno ci fu il crollo. I medici ce l’avevano detto che la malattia procede a salti. Quello che sei capace di fare oggi, non è affatto detto che tu lo sappia fare anche domani. Non lo perdi gradatamente. Ti viene sottratto per intero, di colpo, senza preavviso. Ogni volta mi meravigliavo che ci fosse ancora e sempre qualcosa da sottrarre. Mi meravigliavo della nostra complessità, della meticolosità con cui la malattia, infaticabile geometra, regolava la distruzione, non tralasciando nulla, e così rivelando, nell’ora del disfacimento, l’esistenza di funzioni, strutture, capacità di cui non eravamo consapevoli.

Da un giorno all’altro il papà diventò un bambino. La metafora del bambino è comunemente usata per descrivere la regressione di malati come lui (Erasmo nell’Elogio della follia, schizzando un quadro veridico della demenza senile, la usò per i vecchi in generale). Anche a me viene da usarla. Ma a ben vedere è una metafora molto imperfetta, che non dà la minima idea dello scempio cui devono assistere i familiari del malato. Per quanto faticoso sia seguire un bambino, la fatica è ricompensata dalla certezza che il bambino sta imparando, diventerà grande e autonomo e avrà una sua vita. Il demente-bambino neanche per un secondo dà a chi se ne prende cura l’illusione di un futuro. Vicino al demente-bambino uno contempla di minuto in minuto i procedimenti della morte.

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